1. La riparazione per ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p.

L’art. 314 del codice di procedura penale consente di ottenere una equa riparazione, in termini patrimoniali, per coloro i quali si sono trovati ristretti (presso il domicilio o in carcere) nella fase cautelare e nell’ambito di un procedimento conclusosi coi seguenti provvedimenti:

– sentenza di assoluzione irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato;

– sentenza di non luogo a procedere (in udienza preliminare);

– decreto o ordinanza di archiviazione (in fase di indagini preliminari);

1.1. Il risarcimento è riconosciuto, altresì, a chi abbia subìto tale restrizione in violazione delle condizioni di applicabilità della misura previste dal codice di rito, ancorché successivamente condannato.

2. Limiti posti dalla normativa

Tutte queste ipotesi, tuttavia, postulano che la vittima dell’ingiusta detenzione non abbia dato o concorso a dare causa per dolo o colpa grave all’errore giudiziario.

2.1. Stando alla lettera della norma, la riparazione potrebbe apparire circoscritta alla sola ingiusta detenzione subìta in fase cautelare e legata ad un proscioglimento nel merito (esclusa l’ipotesi di cui al punto 1.1.);

3. L’apertura della Corte Costituzionale

Invero, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 219/2008 ha dichiarato illegittimo il summenzionato articolo 314 c.p. nella parte in cui subordina l’accesso all’equa riparazione al provvedimento di proscioglimento.

3.1. Sulla scia di tale ultima pronuncia della Consulta, la Corte di Cassazione ha dapprima consentito l’accesso all’istituto a coloro i quali fossero stati detenuti nell’ambito di un procedimento penale definitosi con la prescrizione del reato, con l’amnistia o con remissione di querela.

3.2. Un orientamento, quest’ultimo, che, tuttavia, rimaneva ancorato ad un ulteriore limite, ossia che il diritto alla riparazione non è configurabile ove la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita sia determinata da vicende, successive alla condanna, che riguardano la determinazione della pena eseguibile.

3.3. Ad oggi, anche quest’ultimo limite ha ceduto il passo ai princìpi sia di rango costituzionale che sovranazionali, con particolare riferimento all’art. 5 della Convenzione E.D.U., che prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta.

4. La decisione della Corte di Cassazione sulla scia dei princìpi costituzionali

Un nuovo criterio interpretativo, confermato da una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, si trova in linea con i predetti princìpi, ed è stato applicato al caso concreto di un soggetto condannato il quale ha patito una pena più lunga del dovuto, a causa di un errore di calcolo inserito nell’ordine di esecuzione.

Nella sentenza in commento è stato ribadito il principio di diritto:
“Il diritto alla riparazione ai sensi dell’art. 314 c.p.p. sussiste anche ove l’ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all’esecuzione della pena, purché non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato che sia stato concausa dell’errore o del ritardo nell’emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del termine di espiazione della pena”.

Pertanto, alcuna limitazione prestabilita e connessa alla natura della detenzione, bensì solamente un’eventuale condotta dell’interessato volta a contribuire all’errore può negare o limitare l’accesso all’equa riparazione.

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