Nozione di “atti persecutori” (c.d. stalking)

1. Il delitto di atti persecutori, meglio noto come stalking, postula che la condotta persecutoria (minacciosa, violenta o, comunque, molesta) cagioni, alternativamente, due eventi:

a. l’instaurazione di un grave e perdurante stato di ansia o di paura nella persona offesa;

b. l’alterazione delle abitudini di vita del soggetto passivo della condotta;

c. l’alterazione delle abitudini di vita.

Caratteri della condotta

2. L’azione ritenuta persecutoria, tuttavia, affinché possa configurarsi come tale, deve reiterarsi per almeno due episodi penalmente rilevanti, non potendo configurarsi la fattispecie di reato in presenza di una condotta isolata, per quanto grave essa possa essere considerata.

Non a caso, il tenore letterale del disposto dell’art. 612 bis del Codice Penale fa riferimento al necessario carattere “reiterato” della condotta.

La normativa attuale sul destinatario dell’azione molesta

3. La norma summenzionata, invero, è interpretativamente poco chiara con riferimento al destinatario dell’azione molesta: non apparendo univoca l’interpretazione atta a comprendere se questa debba essere necessariamente rivolta, direttamente, alla persona offesa, ovvero possa essere consumata, anche in via indiretta, per il tramite di terze persone.

Il riferimento della fattispecie a soggetti terzi rispetto alla vittima si rinviene solamente con riferimento all’evento: ossia nell’ipotesi in cui la persona offesa abbia timore, oltre che per la propria incolumità, altresì per quella di un prossimo congiunto o di persona legata alla medesima da relazione affettiva.

Il caso concreto

4. Per tali motivi e con riferimento alla prospettazione di atti persecutori con destinatari potenziali individuati in terze persone differenti dalla vittima reale, ancorché legati alla stessa da rapporti affettivi, nell’analizzare un caso concreto, la Corte d’Appello di Milano aveva, nell’ambito del giudizio di merito, assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 612 bis c.p., per aver sì posto in essere una condotta ritenuta persecutoria, in quanto unica, e quindi isolata, con riguardo ad un’incidenza diretta nei confronti della vittima.

In particolare, i fatti oggetto di valutazione giudiziaria, si svolgevano in un contesto nel quale l’imputato aveva appena espiato una precedente condanna per stalking ai danni della medesima persona offesa, salvo, successivamente, ricominciare a perseguitarla, dapprima interagendo (attraverso apprezzamenti cristallizzati nei cosiddetti like) con una foto caricata sul profilo personale esistente sul noto social network Facebook dalla vittima, e, dunque, proseguendo nell’intento oppressivo, contattando altresì la di lei amica con messaggi di testo e vocali whatsapp che la riguardavano.

La Corte meneghina giudicava, quindi, come persecutoria la sola condotta rivolta in maniera diretta alla vittima (interazione sul social network), ritenendo non penalmente rilevanti le condotta diretta all’amica della persona offesa, sebbene destinate, in via indiretta, a quest’ultima.

Con la conseguenza che la prima condotta, nonostante persecutoria, rimaneva l’unica posta in essere dall’imputato, determinandone l’assoluzione in relazione al reato di stalking, per insussistenza dell’indefettibile requisito di abitualità.

La risoluzione della Suprema Corte

5. La Corte di Cassazione si è quindi espressa sul ricorso della parte civile avverso il provvedimento assolutorio in favore dell’imputato, affermando che, ai fini dell’integrazione della condotta tipica prevista dall’art. 612 bis c.p., possono rilevare anche le molestie cosiddette “indirette”.

Si è affermato, in tal senso, che possono rilevare, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, anche comunicazioni di carattere molesto o minatorio dirette a destinatari diversi dalla persona offesa, sebbene a quest’ultima legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l’agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.

Pertanto, si è ribadito che l’evento, consistente nell’alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell’ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro la persona offesa.

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