La fattispecie:

I compiti e gli obblighi gravanti in capo ad un medico operante nel servizio di pronto soccorso mobile (cosiddetto 118) sono perimetrati dalle disposizioni dell’Accordo Collettivo Nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale.

L’inadempimento di tali obblighi può potenzialmente assumere rilevanza penale nella forma dell’omissione di atti d’Ufficio, fattispecie di reato, questa, prevista e punita dall’art. 328 c.p. il quale sanziona il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, indebitamente, rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni:

  • di giustizia;
  • di sicurezza pubblica;
  • di ordine pubblico;
  • di igiene e sanità;

 deve essere compiuto senza ritardo.

La condotta:

L’omissione di atti di ufficio si caratterizza per essere un reato di pericolo omissivo proprio, dal momento che punisce una condotta consistente in un non facere, prescindendo dalla conseguente effettiva causazione di un evento di danno.

Perché si configuri l’ipotesi di omissione di atti di ufficio, tale condotta deve essere compiuta:

  • da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio (quale è anche il medico del 118);
  • deve esservi un rifiuto indebito, il quale può manifestarsi in qualsiasi forma;
  • deve trattarsi di un fatto che debba essere compiuto senza ritardo, tardività che si verifica anche qualora sussista un’urgenza sostanziale al compimento dell’atto.

La norma mira a tutelare non solo il buon andamento dell’apparato amministrativo, ma anche il concorrente interesse del privato richiedente un atto dovuto, interesse che deve qualificarsi come:

  • diretto;
  • concreto ed attuale;
  • corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata.

Il caso concreto:

La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in ordine ad una vicenda che vedeva indagato un medico di continuità assistenziale, per l’essersi rifiutato di recarsi presso il domicilio di una paziente in età avanzata, impossibilitata a muoversi, il cui figlio, in sede di chiamata al 118, aveva denunciato gravi le difficoltà respiratorie dell’ascendente.

Nell’ambito del giudizio di merito, il medico adduceva a sua difesa la circostanza che non fosse previsto per legge alcun obbligo generale di visita domiciliare al paziente dichiaratosi da remoto bisognoso di assistenza; decisione quest’ultima, rimessa alla discrezionalità del medico stesso e che, nel caso di specie, era stata interpretata quale “codice bianco” (stilema che evidenzia l’assenza di gravi rischi per la salute), situazione questa successivamente confermata de relato da un collega che si era recato, in un secondo momento, presso l’abitazione della donna.

L’orientamento della Corte di Cassazione:

La Corte di Cassazione, nel premettere che la visita domiciliare da parte del medico costituisce solo una delle opzioni attraverso la quale è possibile adempiere al servizio assistenziale, ha evidenziato, a contrario, come il medico abbia tre differenti opzioni da poter seguire per simili vicissitudini professionali, e cioè valutare, sotto la propria responsabilità, l’opportunità di:

  • fornire un consiglio telefonico;
  • recarsi al domicilio per una visita;
  • invitare l’assistito in ambulatorio.

Nella vicenda de qua, escludendo la terza opzione per assoluta impossibilità oggettiva della paziente, si rilevava come non fosse stato fornito alcun consulto telefonico da parte del medico e, quale logica conseguenza, come l’unica residua opzione era la visita domiciliare, in relazione alla cui mancata esecuzione l’imputato non ha addotto alcun impedimento.

Inoltre, l’affermazione circa la riconducibilità dell’anamnesi preventiva quale “codice bianco” avrebbe potuto essere confermata (come avvenuto da parte del secondo medico) solo previa rappresentanza fisica del sanitario presso il domicilio per l’espletamento della visita.

Pertanto, la Corte rilevando che:

  • il pericolo per la salute della paziente sussistesse al momento della realizzazione della condotta omissiva;
  • a nulla rilevi la neutralizzazione del pericolo da parte di un medico terzo;
  • l’indifferibilità dell’atto d’ufficio fosse ragionevolmente ipotizzabile al momento della ricezione della telefonata, alla luce delle circostanze enunciate dal chiamante, con la conseguenza che il medico non potesse che esserne consapevole;

ha ritenuto integrato il reato di omissione di atti d’Ufficio nei confronti del medico del 118, sottrattosi alla visita domiciliare.

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