La natura delle misure cautelari

Nell’ambito di un procedimento penale l’applicazione di misure cautelari costituisce un compromesso tra la presunzione d’innocenza dell’incolpato e l’esigenza, avvertita dallo Stato, di tutelare i consociati dal potenziale aggravamento delle conseguenze, in termini di effetti, di un reato di cui si ha avuto notizia.

Compromesso che, proprio perché tale, ha il compito di mantenere l’equilibrio tra l’esigenza pubblicistica del perseguimento dei reati e la tutela della libertà e del patrimonio dell’accusato.

Il dibattito giurisprudenziale

In tale contesto, e con precipuo riguardo per il patrimonio dell’accusato e, quindi con riguardo al tema delle misure cautelari reali, si è generato un dibattito in ordine alla possibilità di sottoporre a sequestro (preventivo) l’intero patrimonio del destinatario della misura reale, ovvero, se sussistano delle categorie di reddito intangibili o, quantomeno, tutelate.

La fonte normativa del confronto giurisprudenziale si rinviene nel disposto di una norma afferente all’esecuzione civilistica e, segnatamente nel disposto dell’art. 545 del Codice di Procedura Civile, nelle cui maglie viene cristallizzata l’impignorabilità dei crediti volti a soddisfare esigenze di vita o comunque strumentali al soddisfacimento di particolari bisogni dell’esecutato (trattasi, di regola, dei crediti aventi ad oggetto sussidi di povertà, maternità, malattia o funerali).

Parimenti, nel medesimo articolo del Codice di Rito, si menzionano i crediti soggetti ad un regime di pignorabilità cosiddetta “relativa”, nell’ambito del quale sono contemplati differenti condizioni e limiti in base alla specifica natura del credito o della somma da pignorare.

Ebbene, la Giurisprudenza della Suprema Corte ha espresso due orientamenti contrapposti sull’opportunità di applicare o meno l’operatività della summenzionata norma civilistica anche ai provvedimenti di natura ablativa in ambito penalistico.

Invero, è emerso anche un terzo orientamento favorevole all’applicabilità della norma in sede penale, ma solo con riferimento alle somme percepite dal lavoratore a titolo di credito di lavoro o di pensione, purché già confluite nella sua disponibilità e, oramai, confuse con il patrimonio mobiliare dello stesso al momento dell’applicazione della misura reale.

La soluzione delle Sezioni Unite penali

Il superamento del contrasto giurisprudenziale è stato consentito dall’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno sposato l’orientamento favorevole all’applicazione della norma civilistica anche al processo penale, con conseguente apposizione di vincoli e limiti sostanziali all’applicabilità di un sequestro delle voci di reddito necessarie all’accusato a sostenersi economicamente.

Il fondamento della decisione

La decisione prende le mosse dal principio secondo il quale i valori costituzionalmente garantiti della dignità della persona, della solidarietà sociale ed economica, e del diritto del lavoratore ai mezzi indispensabili ad assicurare a sé stesso e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, a presidio dei quali è posto il divieto di pignoramento dei crediti indicati dall’art. 545 c.p.c. sono inviolabili e non possono essere pregiudicati nemmeno dalla possibilità della loro confisca in sede penale.

Non sembra secondario, poi, ricordare come l’esigenza di un bilanciamento tra la finalità di pubblico interesse, perseguita con il provvedimento di sequestro o di confisca per equivalente, e l’interesse del privato connesso ai citati valori costituzionalmente rilevanti, tale da consentire che nessuna delle due componenti prevalga sull’altra sì da renderla del tutto recessiva, trovi una legittimazione sia nella giurisprudenza della Corte EDU sia nelle fonti sovranazionali.

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