La sentenza di condanna porta con sé degli effetti, cosiddetti “penali”, che possono condizionare la reintegrazione in società del destinatario del provvedimento giudiziario, anche successivamente alla totale espiazione della pena.

L’esistenza di tali possibili conseguenze giustifica, pertanto, una minuziosa ponderazione, anche in considerazione del rito processuale prescelto, delle richieste difensive da formalizzare al Giudicante, sì da limitare i danni che una condanna può comportare.

La valutazione della gravità del reato

Il nostro Ordinamento demanda, infatti, al Giudice, in sede di decisione, l’onere di valutare la gravità del reato, previa applicazione dei parametri stabiliti dall’art. 133 del Codice Penale, con riguardo:

1) alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalità dell’azione;

2) alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;

3) alla intensità del dolo o al grado della colpa;

nonché la capacità a delinquere del colpevole, da desumere:

1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;

2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;

3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;

4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

I citati criteri sono posti alla base della valutazione del Giudice anche ai fini delle statuizioni sull’eventuale concessione dei benefici di legge al condannato, e ciò allo specifico scopo di limitare gli effetti scaturenti da una sentenza di condanna

Beneficio della “non menzione della condanna nel casellario giudiziale”

Fra questi, è stato oggetto di recente interpretazione da parte della Corte di Cassazione, la concessione del beneficio della “non menzione della condanna nel casellario” previsto dall’art. 175 c.p.

Quest’ultima norma consente al soggetto destinatario di una sentenza penale, di non veder iscritta la condanna nel certificato del casellario giudiziale, richiesto da privati, per tutte le prime condanne con la quale venga comminata una pena detentiva non superiore a due anni, ovvero, una pena pecuniaria non superiore ad euro 516,46.

Nel caso di specie, sottoposto al vaglio della Suprema Corte, il Giudice di merito aveva ritenuto l’opportunità, trattandosi di reati offensivi della fede pubblica, che la pronuncia di condanna, ancorché concernente prima pronuncia di reità e la dosimetria della pena fosse al di sotto dei due anni di reclusione, risultasse esplicitata nel suddetto certificato.

La posizione della Corte di Cassazione

I giudici di Legittimità hanno escluso che la natura del reato possa automaticamente escludere la concessione del beneficio di legge, essendo necessaria una valutazione complessiva del fatto e della personalità dell’imputato, sulla scorta del sopra menzionato art. 133 c.p..

E ciò dal momento che la ratio sottesa al beneficio di legge, vale a dire “la non menzione della sentenza di condanna nel casellario giudiziale”, è da individuarsi nell’agevolazione al reinserimento sociale ad esclusivo beneficio del condannato, così da escludere che le conseguenze del reato possano tradursi in ostacoli al suo percorso lavorativo o alla sua futura affermazione in termini positivi all’interno della collettività.

Pertanto, la pronuncia in commento è di particolare valore in tema di finalità della pena, in quanto pone l’accento sulla, doverosa, valutazione oggettiva e soggettiva del caso concreto, allontanando la tentazione di un appiattimento, da parte dell’Organo Giudicante, verso ciechi ed apodittici automatismi.

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