1. Analisi delle due fattispecie

Le condotte attinenti alle fattispecie dell’ingiuria, oramai depenalizzata, ed a quelle afferenti alla diffamazione, possono apparire, prima facie, di difficile distinzione, in quanto entrambe trovano la propria origine in un’offesa rivolta ad un soggetto terzo.

1.1 Nella disposizione normativa attuale, il delitto di diffamazione è disciplinato dall’art. 595 del Codice Penale, il quale esordisce testualmente con la formula “fuori dai casi indicati dall’articolo precedente…” riferendosi, dunque, all’art. 594 c.p., ossia alla fattispecie dell’ingiuria.

La predetta formula linguistica indica, nelle intenzioni del legislatore, un rapporto di sussidiarietà fra le due norme: nello specifico, sussiste la fattispecie della diffamazione, laddove non si ritenga configurata l’ingiuria, e ciò dal momento che viene con esso (il disposto dell’art. 595 c.p., in tema di diffamazione) tutelato un bene giuridico ulteriore rispetto a quello già preservato dall’articolo che lo precede (art. 594 c.p. in tema di ingiuria).

Ed è in questi termini che si individua una prima distinzione fra le due condotte illecite, in quanto, l’offesa diffamatoria aggredisce anche, se non soprattutto, la reputazione della vittima, intesa, in senso etero-referenziale, quale credibilità che un determinato soggetto ha all’interno di un gruppo sociale, rispetto all’ingiuria, posta a tutela del solo onore, quest’ultimo inteso in termini autoreferenziali.

2. Criteri di differenziazione di matrice giurisprudenziale

Venendo al caso concreto, è già nota la conforme Giurisprudenza di legittimità, che ha stilato i criteri interpretativi necessari per distinguere una condotta diffamatoria e lesiva della reputazione rispetto ad una condotta ingiuriosa, e attualmente non più penalmente rilevante.

In particolare:

– l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone;

– l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario;

– se la comunicazione “a distanza” è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione;

– l’offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.

2.1. Un problema interpretativo, nell’era delle comunicazioni da remoto attraverso il sussidio di software, può discendere per i casi in cui un’offesa venga propalata virtualmente tramite social network ovvero sistemi di messaggistica istantanea (a titolo esemplificato e non esaustivo a mezzo Whatsapp).

Per tali questioni, il concetto di “presenza” non può più essere riducibile alla mera presenza fisica del destinatario passivo, bensì sono state accettate (giuridicamente) situazioni ad essa sostanzialmente equiparabili, realizzate con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici (call conference, audioconferenza o videoconferenza), in cui si può ravvisare una presenza virtuale del destinatario delle affermazioni offensive.

3. Il caso concreto

Quanto, invece, alla chat di gruppo di whatsapp, la quale consente l’invio contestuale di messaggi a più persone, che possono riceverli immediatamente o in tempi differiti, una recentissima sentenza della Corte di Cassazione ha inteso dirimente accertare se la percezione da parte della vittima dell’offesa sia stata contestuale ovvero differita.

Nel primo caso (ipotesi di contestualità), vi sarà ingiuria aggravata dalla presenza di più persone quanti sono i membri della chat, e questo  perché la persona offesa dovrà ritenersi virtualmente presente; nel secondo caso (percezione differita) si avrà diffamazione, in quanto la vittima dovrà essere considerata assente.

3.1. Sotto il profilo della prova delle circostanze sopra indicate, per discernere quale sia l’ipotesi alla quale ricondurre il fatto storico, il Giudice, nella riconduzione del fatto alla norma, dovrà comprendere se la persona offesa abbia percepito in tempo reale l’offesa proveniente dall’autore del fatto.

Accertamento che, quando non siano disponibili dati tecnici più precisi quanto ai collegamenti della persona offesa con il servizio di messaggistica, potrà passare attraverso la verifica di tempi e modi dell’invio dei messaggi e dell’atteggiamento della vittima quale emerge da precisi indicatori fattuali (es. tempi di risposta dell’offeso e atteggiamenti fattuali tenuti in chat tanto da quest’ultima quanto dall’incolpato).

Condividi Articolo: