1. La fattispecie:

Il nostro Ordinamento punisce il reato di omicidio, ai sensi dell’art. 575 c.p., nei confronti di chiunque cagiona la morte di un uomo.

Nella previsione codicistica del cosiddetto “omicidio volontario”, l’elemento psicologico preso in considerazione dal Legislatore si rinviene nel dolo generico, ovvero nella coscienza e volontà di cagionare la morte di un uomo.

Invero, la causazione di un evento mortale in danno di un consociato può costituire reato anche qualora la condotta sia compiuta in assenza di dolo e ciò dal momento che, ai sensi dell’art. 589 c.p. “è punito chiunque cagiona per colpa la morte di una persona”, così cristallizzando l’ipotesi di reato dell’omicidio colposo. La ratio legis si rinviene nell’intento social preventivo di tutelare la vita e l’incolumità personale anche nei confronti di condotte non sorrette da volontà, bensì da imperizia, imprudenza o negligenza, ovvero da inosservanza di Leggi o Regolamenti.

2. La condotta:

Affinché possa ritenersi integrata la fattispecie dell’omicidio colposo, un soggetto non deve rappresentarsi l’evento esiziale come conseguenza della propria condotta, né volere tanto meno l’evento stesso (inteso quale la morte di un uomo).

L’evento, quindi, deve essere causato da una condotta:

  • in violazione di regole cautelari scritte che richiedano necessariamente l’adozione di cautele al fine di impedire la messa in pericolo di beni giuridici considerati rilevanti dal legislatore;

Oppure, come detto, essere caratterizzata da:

  • negligenza, qualora l’agente assuma un comportamento senza prestare la dovuta attenzione;
  • imprudenza, qualora il soggetto attivo tenga una condotta contraria ai generali doveri di prudenza e accortezza;
  • imperizia, qualora il soggetto tenga una condotta che presuppone la conoscenza di determinate regole tecniche le quali, però, vengono da lui trasgredite per incapacità, inettitudine tecnica o professionale.

Ne discende, quale logico corollario che il reato, quindi, si perfeziona quando:

  • si verifica l’evento morte della persona offesa;
  • si dimostra che il soggetto agente, pur non volendo la morte, abbia tenuto una condotta imprudente, negligente o inesperta o contraria a leggi, regolamenti, ordini o discipline, alla quale sia causalmente collegabile l’evento.

3. Il caso concreto:

La Suprema Corte di Cassazione si è occupata di un caso concernente la condotta di un esercente la professione di barista, accusata di omicidio colposo, a seguito della morte di una giovane cliente, all’esito della somministrazione, in favore della stessa, di una bevanda alcolica denominata “batida de coco”.

Nell’occasione, oggetto di approfondimento penale, la cliente, in sede di ordinazione, richiedeva alla barista se la bevanda contenesse del latte, trattandosi sostanza per lei nociva a cagione di una dichiarata intolleranza.

In sede di servizio la barista provvedeva a rassicurare la ragazza assicurandole che la bevanda fosse a base di latte di cocco e quindi non contenesse alcuna sostanza per lei pericolosa.

Ciò nonostante, la cliente, una volta consumata la bevanda, veniva colpita da uno shock anafilattico che ne cagionava il decesso.

Alla luce di quanto sinteticamente sposto, la Corte di Appello di Roma riteneva la barista responsabile del delitto di omicidio colposo per non aver assunto un atteggiamento adeguatamente prudente di fronte ad un soggetto che l’aveva messa al corrente del pericolo connesso alla consumazione di bevande contenenti del latte.

4. L’orientamento della Suprema Corte:

La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, in sede di esame del ricorso proposto dall’imputata, ha confermato quanto statuito dalla Corte di Appello sostenendo come, nella vicenda de qua, ben si possa trattare di reato commissivo per aver somministrato alla persona offesa una bevanda rivelatasi fatale pur a fronte delle informazioni fornitele dalla cliente sulla propria condizione di salute, le quali avrebbero richiesto maggiore prudenza e diligenza da parte della barista.

Pertanto, la Corte evidenziando:

  • la condotta negligente e imprudente tenuta dalla barista nonostante i prospettati rischi per la salute della cliente;
  • la sussistenza del nesso causale, il quale dimostra che l’evento morte non si sarebbe verificato in assenza della somministrazione della bevanda, a nulla rilevando la possibile amplificazione degli effetti a causa della presenza, all’interno della bibita, di sostanze alcoliche;

rigettando il ricorso, ha ritenuto la barista responsabile per il reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p., sanzionandola a norma di legge.

Condividi Articolo: