Il 3 agosto 1990, in adempimento agli obblighi contenuti in alcuni degli strumenti internazionali ratificati dall’Italia, viene introdotta per la prima volta nel nostro Codice penale la nozione di “pedopornografia”.

Nella Sezione I del Codice penale, dedicata ai reati contro la personalità individuale, trovano spazio le fattispecie di cui agli artt. 600-ter e 600-quater c.p., successivamente modificate con l. 38/2006, disciplinante la lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet.

Per pornografia minorile si intende qualsiasi rappresentazione con qualsiasi mezzo, di un bambino dedito ad attività sessuali esplicite, concrete o simulate, o qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali a fini soprattutto sessuali“.

1. Il reato di pedopornografia virtuale

La legge n. 38 del 2006, introduceva l’art. 600-quater 1) c.p., disciplinante la pedopornografia virtuale, che si poneva l’obiettivo di completare il quadro di tutela penale contro la pedopornografia.

La succitata disposizione statuisce che anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori di anni 18 o parti di esse, si applicano le disposizioni di cui agli art. 600-ter e 600-quater.

2. La condotta

Il delitto di pedopornografia virtuale costituisce un crimine di natura informatica in quanto:

  • la condotta è commessa con l’uso del mezzo informatico;
  • il materiale illecito viene realizzato per mezzo delle tecnologie informatiche;
  • le condotte sono ottenute attraverso l’uso delle nuove forme di condivisione via internet di immagini o video.

Per “materiale pornografico”, invece, si può intendere:

  • La rappresentazione di un abuso sessuale di un minore reale;
  • L’immagine pornografica rappresentante una persona che appaia essere un minore impegnato in attività sessuali esplicite;
  • Le immagini che, sebbene realistiche, poiché realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione le fa apparire come vere, non coinvolgono in realtà un minore realmente impegnato in attività sessuali esplicite.

Il bene protetto dalla norma non è esclusivamente la libertà sessuale del soggetto minore di età, ma, essendo questi ultimi una categoria di persone destinataria di una tutela rafforzata, l’Ordinamento mira a preservarne:

  • delle fasi dello sviluppo fisico e psicologico;
  • dello sviluppo della propria sessualità,

beni cui il legislatore ha inteso assegnare maggior tutela, mediante la criminalizzazione di tutte quelle condotte di coloro che, anche attraverso l’uso della tecnologia digitale, sviluppano immagini che esprimono la possibilità del coinvolgimento del minore in attività sessuali, in relazioni alle quali gli stessi non sono in grado di prestare un valido consenso, nonché di coloro che diffondono o scaricano tali prodotti video o immagini dal web sul proprio hardware.

Ciò poiché, anche in relazione a quanto affermato all’interno del Rapporto esplicativo della Cyber Crime Convention, tali immagini possono essere utilizzate per sedurre dei soggetti minori od invitarli a partecipare ad attività sessuali.

3. Il caso di specie

Anche la Suprema Corte di Cassazione si è espressa sul tema, in relazione al caso di un soggetto il quale, utilizzando il software “Emule”, si procurava e deteneva nell’unita di memoria del proprio computer numerose immagini pornografiche di tipo fumettistico, realizzate utilizzando immagini raffiguranti minori di anni diciotto, intenti a subire pratiche e atti sessuali.

Con sentenza d’appello, il soggetto veniva assolto sul presupposto dell’irrilevanza penale del materiale rinvenuto ritenendosi che questo debba avere una qualità di rappresentazione tale da far apparire come vere situazioni non reali, circostanza non ritenuta sussistente nel caso di specie.

Avverso tale decisione, ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica proprio in merito alla ritenuta arbitraria interpretazione restrittiva data alla disposizione, che ne escluderebbe l’applicabilità alle immagini fumettistiche, solo perché bidimensionali, essendo di contro la fattispecie destinata a punire la detenzione consapevole delle immagini virtuali che siano in grado per la loro capacità di far apparire vere situazioni non reali, di alimentare la libidine sessuale verso i minori.

4. L’orientamento della Suprema Corte

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 22265 del 2017, a seguito del presentato ricorso, ha ritenuto di dover annullare la sentenza impugnata.

La Suprema Corte, difatti, ha affermato che non si può escludere l’applicazione dell’art. 600-quater 1 c.p. alle rappresentazioni fumettistiche, dal momento che, pure in queste, grazie all’uso di tecnologie all’avanguardia, vi possono essere immagini la cui qualità di rappresentazione faccia apparire come vere situazioni ed attività sessuali implicanti minori che non hanno avuto alcuna corrispondenza con fatti della realtà.

Dove, a parere della Corte, perché si parli di immagine virtuale pedopornografica la qualità di rappresentazione deve essere tale a far apparire come accadute o realizzabili nella realtà e quindi “vere”, ovvero verosimili, situazioni non reali, ossia frutto di immaginazione di attività sessuali coinvolgenti bambini/e.

La Corte ha perciò statuito che, nel caso di specie, solo perché le immagini e i filmati sequestrati rappresentavano soggetti minori “di fantasia” raffigurati attraverso dei fumetti, non si può escludere ogni riferibilità, anche solo apparente ad una situazione rappresentativa di accadimenti reali.

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