1. “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, così recita il primo comma dell’articolo 21 della nostra Carta costituzionale, il quale, nel riconoscere la libertà di espressione, sancisce il caposaldo di tutte le libertà proprie dell’uomo e di uno Stato democratico.

Nel perimetro della libertà di espressione, rientra, tra gli altri, anche il cosiddetto diritto di critica, che cristallizza la possibilità “di criticare il pensiero altrui”, manifestando espressioni, talvolta particolarmente forti e suggestive, potenzialmente lesive, in termini oggettivi, della reputazione altrui al fine di potenziare l’efficacia del discorso e richiamare l’attenzione dell’interlocutore.

È necessario, tuttavia, non sottovalutare il labile confine sussistente tra il diritto di critica e l’offesa all’altrui onore e reputazione, potenzialmente foriero di una ascrizione di responsabilità per la fattispecie criminosa della diffamazione.

2. Quando è giuridicamente tollerata l’offesa all’altrui reputazione?

La giurisprudenza di legittimità si è espressa, in termini oramai consolidati, in ordine ai requisiti tipici del diritto di critica, individuando:

  • Interesse sociale;
  • Continenza del linguaggio, che a sua volta si distingue in:
    • Sostanziale, afferente alla quantità e alla selezione dell’informazione;
    • Formale, afferente alle espressioni per mezzo delle quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero, postulando una forma espositiva corretta della critica;
  • Verità del fatto narrato;
  • Attualità della notizia, gergalmente, in termini giuridici, anche denominata come Pertinenza.

2.1. Ebbene, l’esclusione dell’antigiuridicità della condotta lesiva dell’altrui reputazione trova così il proprio fondamento proprio nell’interesse della collettività alla conoscenza del fatto, svolgendo, la notizia, un ruolo primario nella formazione dell’opinione pubblica, con ciò permettendo a ognuno di compiere autonomamente le proprie scelte nei campi di interesse generale.

3. Il diritto di critica politica.

Ulteriori precisazioni merita lo specifico diritto di critica politica, in cui il rispetto della verità del fatto assume un rilievo limitato, necessariamente affievolito, poiché la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica.

Tale assunto trova conferma anche in seno alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che, con una pronuncia del 2012, opera una distinzione tra:

  • Giudizi di fatto, la cui esistenza può essere soggetta a prova;
  • Giudizi di valore, la cui esistenza, all’opposto, non può esser provata, verificandosi altrimenti un effetto dissuasivo sulla libertà di informare.

3.1. Si giunge, pertanto, ad affermare il divieto per il legislatore di richiedere la prova della verità per quelle affermazioni che consistono in meri giudizi di valore, i quali vengono espressi attraverso il mezzo della stampa, o, attualmente, attraverso l’utilizzo di Internet e dei social network, purché non siano del tutto svincolate da qualsiasi base fattuale e non trascendano in gratuiti attacchi personali.

3.2. Soprattutto in ambito politico, è necessario tener conto della perdita di carica offensiva di alcune espressioni, dove la critica assume spesso toni aspri e vibrati, e del fatto che, quanto maggiore è il potere politico esercitato, maggiore sarà l’esposizione alla critica. L’intensità di tali critiche non esclude, però, l’operatività della scriminante proprio in virtù di quel preminente interesse sociale al libero svolgimento della vita democratica, che emerge ancor più in ambito politico.

4. Il caso concreto.

La Suprema Corte di Cassazione è stata recentemente chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta, la quale, nel disapplicare l’operatività dell’esimente del diritto di critica, aveva dichiarato i due ricorrenti, esponenti della realtà politica locale, colpevoli del reato di diffamazione aggravata, ai sensi dell’art. 595, commi II e III, c.p., poiché, tramite la pubblicazione di molteplici dichiarazioni su quotidiani cartacei e sul social network Facebook, avevano leso la reputazione di un proprio antagonista politico nell’ambito della campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio Comunale.

5. Il recente orientamento della Corte di cassazione.

La Corte di cassazione, richiamando un orientamento ormai consolidato, ha affermato come “occorre contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio-temporale e dialettico nel quale sono state proferite, e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere”.

5.1. Spetta, quindi, al giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, verificare se il negativo giudizio di valore espresso possa essere, in qualche modo, giustificabile nell’ambito di un contesto critico e funzionale all’argomentazione, così da escludere la invettiva personale volta ad aggredire personalmente il destinatario.

I limiti all’esercizio del diritto di critica sono rinvenibili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, quale è quello previsto dall’art. 2 Cost., onde non è consentito:

  • attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell’espressione;
  • trasmodare nella invettiva gratuita, salvo che la offesa sia necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico.

Limiti, questi ultimi, che si intendono superati solo e soltanto qualora l’agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato.

5.2. Nel caso di specie, sulla base degli enunciati principi, la Corte, ha ritenuto configurabile l’esimente del diritto di critica, poiché la condotta in contestazione

  • non era né gratuita né esorbitante;
  • era limitata a una censura polemica della condotta della persona offesa;
  • era fondata su una rappresentazione veritiera dei fatti;
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