Indice
1. La fattispecie:
Dietro il fallimento di una società può celarsi una condotta penalmente rilevante, eventualmente sussumibile nell’ipotesi prevista dall’art. 216 del R.d. n. 267/1942, qualora la stessa sia stata volta:
– a spogliare la società per evitare che tutto o parte del patrimonio possa essere aggredito da eventuali terzi creditori (c.d. bancarotta fraudolenta distrattiva);
– a celare o distruggere, integralmente o parzialmente, la documentazione inerente al fallimento (c.d. bancarotta fraudolenta documentale).
Tali condotte, invero configurabili anche congiuntamente, vengono di regola attribuite in via principale all’amministratore formale della società, il quale non sempre coincide con il reale responsabile/ideatore dell’illecito.
Ciò in quanto può accadere che taluno presti la propria identità (magari in quanto priva di precedenti penali o segnalazioni bancarie, ovvero poiché riferibile a soggetto irreperibile o nullatenente) al fine di consentire a talaltro, in concreto, di gestire, in maniera recondita, l’attività imprenditoriale.
2. La condotta:
con una recentissima pronuncia di legittimità, la Suprema Corte ha preso in esame la condotta di un amministratore di una società, nominato solamente in via formale (quindi nella qualità di c.d. testa di legno), per consentire al coniuge di esercitare il potere apicale in via di fatto.
Tale società, tuttavia, in ragione di un ravvisato stato di decozione, veniva raggiunta da una sentenza di fallimento, così giustificando la contestazione da parte della competente Procura della Repubblica del reato di bancarotta fraudolenta, sia distrattiva che documentale da sottrazione, in capo al legale rappresentante, sia di fatto che di diritto.
Nel corso dei primi due gradi del processo, il Giudice di merito valorizzava l’indice sintomatico del rapporto di coniugio che legava i due imputati, e ciò al fine di motivare la declaratoria di responsabilità, e quindi di condanna in capo anche all’amministratore formale, poiché ritenuto certamente consapevole dell’attività fraudolenta posta in essere dal coniuge amministratore di fatto.
Nello specifico, e con riguardo agli esiti probatori, la c.d. testa di legno, in sede di istruttoria, aveva riferito di essere a conoscenza del dissesto economico in cui versava la società, ma di non aver mai avuto contezza delle operazioni fraudolente sino alla dichiarazione di fallimento e alla successiva audizione personale intrattenuta, come per legge, con il curatore.
3. La decisione della Corte di Cassazione.
La Suprema Corte, trovatasi investita dal ricorso della difesa dell’amministratore formale, riteneva di condividere le ragioni di quest’ultima, a discapito della motivazione addotta dai Giudici di merito.
Ciò dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente dell’amministratore di diritto non necessariamente implica una sua consapevolezza dei disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.
Tale convinzione prende forma dall’analisi chirurgica della condotta dell’amministratore formale, la quale postula una severa distinzione fra:
– elemento oggettivo, ai sensi dell’art. 40, comma II, c.p., per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico (art. 2392 c.c.) di impedire;
– elemento soggettivo, se sia raggiunta la prova che egli aveva la generica consapevolezza (ovvero nell’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, il fine specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori) che l’amministratore di fatto distraeva, occultava, dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali, esponeva o riconosceva passività inesistenti.
Il grado di partecipazione alla condotta criminosa richiede, infatti, la verifica di diversi elementi, quali il coinvolgimento dell’amministratore di diritto nelle vicende societarie, i suoi rapporti con l’amministratore di fatto e con i soci, la conoscenza che egli abbia avuto – o abbia scientemente evitato di avere – dei fatti sociali e, non ultime, le ragioni (affettive e/o economiche) per cui abbia assunto la carica di amministratore.
Elementi che, nel caso di specie, non sono stati oggetto di vaglio, non potendo essere considerata sufficiente la sussistenza del rapporto di coniugio o la mera consapevolezza dello stato di dissesto della società; elemento, quest’ultimo, da tenere distinto dalla consapevolezza di una condotta di spoliazione o sottrazione.